Gabriele Poli

Critica. Il percorso di Gabriele Poli

di Luca Nicoletti

Visto sul lungo periodo, percorrendo il tracciato di un'attività trentennale, il percorso espressivo di Gabriele Poli si presenta saettato, fatto di brusche "sterzate" e di "ritorni", di recuperi di soluzioni espressive. Si tratta di un costante lavoro su se stessi, uno smontare e rimontare la propria sintassi figurativa per sondare nuove potenzialità del linguaggio, pur ruotando intorno a dei nuclei tematici ben precisi. Per comprendere Poli, però, bisogna prima di tutto tener presente il contesto che costituisce la "situazione genetica" del suo lavoro. Dire che questo artista vive e lavora a Milano, e segnatamente nella periferia ovest di Milano, non è una considerazione banale, in quanto è proprio questo ambiente ad agire su di lui e ad acuirne la sensibilità verso alcuni temi. È l'artista stesso ad informarci di questa sua predilezione per le periferie, per quelli che, in un suo scritto, aveva definito "Territori temporanei": "Forse perché sono nato nella periferia di una grande città, un territorio dall'identità incerta, sospeso fra città e campagna, o forse per una congenita inclinazione all'eccentrico, fin da piccolo fui attratto dai mondi marginali". Questa periferia compare infatti subito, fin dai primi dipinti degli anni '70, fra cui, significativamente, una tavola del 1972 è dedicata proprio ad un cantiere, ad uno dei simboli della crescita di Milano. Non manca, già in queste prime prove, una connotazione spiccatamente sociale. Ma una formazione milanese significa anche confrontarsi con una tradizione futurista e divisionista, sia per imparare da questa, sia per "rinnegarla". Alla metà degli anni '80, infatti, sembra che le suggestioni di questa pittura abbiamo agito sulla sensibilità di Poli, con una conseguente ricaduta neisuoi lavori. È il periodo delle cosiddette "Configurazioni organiche", degli "stagni", degli "alberi", un momento in cui l'artista è attratto da una natura multiforme, dai risvolti metamorfici, che si traduce nell'uso di una pittura estremamente asciutta, se non secca, in cui le forme prendono vita per un accumulo di segni quasi ossessivo. Inizia qui una riflessione sul segno che sarà sempre una peculiarità di Poli. Egli però non codifica un alfabeto di segni (come fece, ad esempio, Capogrossi), ma predilige una gestualità che è espressione pura, contingente. In questo sta la continuità di una ricerca che altrimenti potrebbe sembrare frammentaria, fatta di "periodi" chiusi e non comunicanti fra loro. Inizia infatti una ricerca di sintesi, una riduzione del reale all'essenza più scarna, memore della lezione di Giacometti e, soprattutto, dei disegni (pieni di segni) dello scultore svizzero. Giacometti è, insieme a Licini, uno degli artisti che Poli stesso riconosce come i propri "referenti storici". E in effetti non possiamo guardare le sue figure che si assottigliano fino a diventare segni germinali senza pensare a questi modelli di riferimento. Fino all'inizio degli anni '90, Poli segue sempre questa maniera "aspra", fortemente giocata su grafismi esasperati più che sul colore.
Solo a questo punto si comincia a parlare anche di ricerca materica, di indagine sugli impasti del colore, temi che hanno preso tanta parte nel lavoro di questi ultimi anni; e nello stesso tempo, alla metà degli anni '90, Poli comincia a lavorare in maniera sistematica sul tema delle aree dismesse. L'interesse dell'artista si sposta prevalentemente sul paesaggio. Egli propone una versione della realtà ampiamente traslata sul piano dell'astrazione, con effetti di natura informale e il suo sguardo sulla città è da varie angolazioni: è volo dall'alto, è vista topografica, oppure è uno zoom estremamente ravvicinato su alcuni dettagli della vita quotidiana di città (si pensi in particolare alle varie Memorie dell'asfalto). L'artista, infatti, è sensibile a quelle manifestazioni della vita urbana in cui affiorano i segni del tempo o di un passaggio umano in cerca di libertà: una crepa su un muro, o un graffito metropolitano animano lasua mente, suscitando l'idea di uno spazio riconquistato all'interno degli schemi razionali della città, intaccandone le strutture. Tutto ciò diventa un motivo tradotto in superficie, in gesto, in materia. La forma, il paesaggio, sono destrutturati fino ad assumere il valore di bagliori, di ombre e di luci, fino a diventare colpi di spatola ampi, rapidi. Lo sguardo sul vero, assunto di partenza dell'operazione artistica, ne esce centrifugato, irriconoscibile ma arricchito di un nuovo senso, di una nuova, spirituale identità. Non vi è, in un primo momento, un interesse per la profondità spaziale, per la prospettiva, tanto che lo sguardo sulla periferia assume un carattere "topografico": Poli traccia delle mappe del territorio, sebbene tradotte in motivi astratti, geometrici. Il suo processo di sintesi, però, lo porta ad una dimensione espressiva estremamente profonda, spirituale, e verso una notevole apertura di significato: il testo pittorico ci permette, ci impone quasi, di superare la soglia della rappresentazione per riconquistare senso. Su questi lavori, credo che sia significativo quanto detto da Poli stesso in un'intervista di quegli anni, in cui, con grande sintesi, riassume alcuni punti importanti del suo modo di lavorare sulle serie e dell'approccio con cui ritiene sia meglio avvicinarsi ai suoi lavori: "Le sequenze sulla tela non sono in progressione seriale, ma simultanee. Nuclei formali originari, variazioni, processi trasformativi, rapporti compositivi, tutto si manifesta simultaneamente. Nel mio immaginario l'osservatore stesso rappresenta una parte attiva del processo di trasformazione, di crescita dei miei dipinti. Vorrei un osservatore corresponsabile, persino complice, del mio fare artistico." In un secondo momento la profondità entra poi nella rappresentazione, sia come soglia sia come rappresentazione prospettica. Peculiari del perseguimento di una vista prospettica sono i suoi Orizzonti verticali, dipinti di formato molto allungato tagliati da algide lame luminose e giocati su un contrasto di chiari e di scuri estremamente teso. Queste lame di bianco abbagliante sembrano suggerire una luce non naturale, intensissima e "rivelatrice". È una presenza che si impone, che mostra l'esistenza di un varco: questi squarci nel buio, letti in senso spazialista, mettono in relazione con uno spazio che sta oltre, al di là del limite da cui questa luce ci ritorna con una violenza tale da oscurare tutto ciò che incontra e da creare dei netti controluce. Proprio gli Orizzonti verticali, a mio parere, sono i dipinti in cui meglio emerge quel legame con l'ambiente circostante per cui un informale "metropolitano" come questo può nascere solo a Milano. Il capoluogo lombardo, infatti, è una città nel cui paesaggio mancano gli orizzonti, dove manca la possibilità per lo sguardo di sconfinare, di spaziare sul campo lungo, tanta e tale è la densità urbana. Considerando questo, credo sia più chiaro come l'unico orizzonte possibile sia quello "verticale" incorniciato da alti palazzi. Da questo punto di vista, la pittura di Poli può anche essere vista come una rivincita, una riconquista dello spazio attraverso la luce. Negli stessi anni si possono trovare anche le Soglie: paesaggi di una waste land, di una terra desolata su cui si staglia netto l'orizzonte. È in questo ambiente, ricostruito spazialmente, che ricompaiono, infine, le figure umane. Dapprima, e per lungo tempo, si vedranno degli esili grumi materici che evocano soltanto la forma umana da sola o in piccoli gruppi, ritagliate su un forte controluce. Sono grumi in cui la figura sembra prendere forma sotto gli occhi del riguardante. Sono delle tracce, dei segni, ma sono sufficienti ad innestare dei meccanismi che guidano verso nuove vie, di cui i dipinti più recenti sono un risultato. I nudi che inaugurano questa serie sono degli abbagli luminosi, figure che si ricompongono sulla retina a poco a poco affiorando dal magma del colore/materia per enucleare, con una sintesi estrema, la propria forma. È un nudo inserito in un contesto di natura, immerso in un'atmosfera "umida": la figura si affaccia su una soglia luminosa, di un bianco algido che fa pensare ad una fugace emersione della luce da un nucleo materico indistinto. La dissoluzione è diventato uno svaporare della figura nel colore/materia ed il paesaggio, dal canto suo, si è fatto più teso, drammatico. Le donne di Poli sono scevre da implicazioni erotiche, sono pura luce nella quale la forma si sublima alpunto da perdere consistenza. Non sempre è chiaro il limite che divide la figura dallo sfondo, sebbene la forma, o la sua sagoma, rimanga sempre riconoscibile. Ma è probabilmente proprio questa fusione a rendere intrigante la fruizione: lo spettatore deve porsi attivamente di fronte alla pittura per estrarne, nei limiti che l'indeterminazione formale consente, i propri contenuti. Da queste premesse nascono infine gli Angeli della periferia. Si tratta di figure molto evocative, in cui è palese, sin dal titolo, l'omaggio ad Osvaldo Licini, artista di riferimento per Poli, ed ai suoi Angeli Ribelli. Poli è più volte tornato sui temi liciniani, in questa fase, alla ricerca di una via mediana fra gli impasti materici di cui la sua pittura è intessuta e dei motivi lineari, che si sono risolti in delle sinuose ed al tempo stesso drammatiche linee di forza che si reggono su una notevole tensione interiore. Tensione, per altro, che non è esente da una vocazione trascendentale. Apripista di questa serie, significativamente, è un dipinto intitolato Fenice Metropolitana, figura che si sublima e sembra disfarsi al solo sguardo. Non si può tralasciare, in conclusione, una riflessione sui preziosi impasti cromatici che sostanziano la pittura di Poli. Credo che sia sempre suggestivo, osservando i dipinti di questo artista, immergersi nel colore puro, isolare da questo dei dettagli e goderne come di composizioni astratte autonome. In questo modo ci si renderà conto della complessità delle modalità operative con cui Poli interviene sui propri lavori. Egli infatti agisce per zone ampie di colore saturo, ora denso ora sottile, ma mai a tinte piatte, accostando il colore per contrasti di tono e cercando il più possibile di non intorbidare le tinte, in modo da accentuare quel senso di lacerazione che emerge con sempre maggiore evidenza nella produzione recente. A questo, poi, si aggiungano interventi sulla tela con pigmenti in polvere, depositati a pioggia sul dipinto, che impreziosiscono la superficie creando effetti di granulosità e di evanescenza. Ciò è possibile solo attraverso un lavoro in cui la partecipazione emotiva è supportata da un continuo controllo razionale. Certamente non si può prescindere da una matrice informale di fondo, cheha come punto di partenza un'operazione gestuale dalla quale affiora germinalmente l'intuizione creativa. L'immediatezza dell'impatto visivo, infatti, nasconde un lavoro fatto di pause, di momenti in cui la materia decanta sulla tela prima di rivelare la propria vocazione e suggerire il modo di intervenire su di essa. Come l'artista stesso conferma, infatti, il suo è sì un lavoro gestuale, ma di una gestualità che non è automatismo. È un lavoro in cui l'indagine sulle paste acriliche sembra sempre tentata di sforare in un intervento tridimensionale ed i grumi che ne nascono sembrano dare vita ad un corpo vivo, ferito dalla luce, divelto ma che non sanguina, anzi ne sembra uscire purificato.

Luca Nicoletti, 2005