Gabriele Poli

Critica. Angeli della Periferia

di Luca Nicoletti

Appunti per una presentazione della mostra "Angeli della periferia" di Gabriele Poli, inaugurazione 24 novembre 2005, Archivi del '900, Milano.

Per capire la pittura di Gabriele Poli è necessario tener subito presenti due elementi fondamentali. Per prima cosa va precisato che, nonostante quella che possa essere la prima impressione, Poli non è un pittore astratto, in quanto il suo lavoro è una trasformazione, una trasfigurazione dei dati del reale attraverso gli strumenti della gestualità. Quello che ad un primo impatto può sembrare un lavoro di matrice informale, infatti, in realtà è frutto di una gestualità controllatissima che guida la materia nella sua vocazione formale sulla tela. Questo non impedisce, però, di apprezzare la qualità della pittura, ad uno sguardo ravvicinato, come divertimento visivo puro del colore e dell'impasto cromatico che si muove sulla superficie.
Il secondo aspetto, di carattere tematico, è il forte legame fra questa pittura e il contesto della periferia urbana. Gabriele Poli conosce bene le periferie di Milano, perché qui è nato e qui è vissuto, e questo ambiente ha acuito da sempre la sua sensibilità verso quel tema e verso quell'ambiente. Anzi, un tipo di pittura come questo, in cui si respira l'umidità fumosa dell'aria come elemento quasi trascendente, può essere nata solo a Milano. Anche temi come gli "Orizzonti verticali", con cui l'artista si è a lungo cimentato, erano nati così.
Gli "Angeli della periferie" sono dunque la tappa più recente di un percorso di ricerca tutto incentrato sulla periferia, e ne arricchisce il senso. Si tratta infatti di un luogo che l'espressione artistica nel corso del Novecento ha indagato a più riprese per farne veicolo dei contenuti più differenti. La periferia di Poli non è più il luogo dell'ottimismo positivista verso la "città che sale" cara ai futuristi e ai miti del progresso, e non è nemmeno il luogo dell'alienazione e del disagio dei quadri di Mario Sironi. Anche lo sguardo gettato dal Neorealismo e dalle poetiche dell'impegno civile sulle periferie è in parte superato. La periferia, infatti, è come diventata, da spazio destinato agli "ultimi", il teatro metafisico da cui parte una nuova visione, trasfigurata, del reale, un luogo animato da un magma di umori ribollenti pronti a tornare in superficie. Le periferie di Poli sono oggetto di questa trasformazione che, nel momento in cui viene dipinta, è ancora in corso, e gli angeli sono le presenze che animano e giustificano questo mutamento in atto. La periferia è dunque il luogo privilegiato per una ricostruzione, anzi per una resurrezione, dalle macerie.
A questo proposito, è utile pensare alla visione apocalittica della fine di Milano che si legge in due romanzi di Giovanni Testori: La Cattedrale, in parte, e, soprattutto, Gli Angeli dello Sterminio, ultima opera edita quando l'autore era in vita. Lo scrittore ha immaginato i momenti finali della distruzione della città ad opera di angeli bellissimi e scheletrici in sella alle moto Yamaha, una città che è diventata un groviglio pulsante di cadaveri e macerie. Non sono però questi angeli descritti da Testori ad essere utili per capire questi dipinti, quanto piuttosto la chiusa del romanzo, in cui sulle macerie della città comincia a prendere forma

"(…) una macchia biancastra e lattiginosa che obbedendo a una lentissima e solenne pulsione centrifuga, andò, piano piano allargandosi. (…) non occorre, tuttavia, molto perché (…) quelle cellule, sempre biancastre e lattiginose, mostrassero d'essere in atto di generare da sé qualcosa come un'immane e mai vista forma umana".

In qualche modo i dipinti di Poli visualizzano quegli eventi partendo dal punto in cui il libro di Testori si interrompe: in una realtà nuova, trasfigurata, questi angeli di ascendenza liciniana sono i magnifici abitanti.
Da questo punto di vista si può vedere anche la produzione di Poli come uno sviluppo filmico di questo tema. Già in diversi dipinti precedenti, infatti, le prospettive dipinte dall'artista erano popolate da alcune presenze "annotate" stenograficamente sulla tela: sono tache di colore che riducono al minimo l'idea della figura, ma potenzialmente la contengono. In qualche modo, quel grumo di materia che conteneva il bozzolo di una figura umana si è schiuso ed ha rivelato la sua anima spirituale. La tache di colore che evocava certe idee di Giacometti si è articolata nello spazio, è diventata una danza di linee che evocano Licini, artista tanto amato da Poli. Lo stesso nome dato a questi dipinti, del resto, è un omaggio esplicito agli "Angeli ribelli" pensati da Licini, e che sono il vero faro per capire queste presenze delle nuove periferie.

Luca Nicoletti, 12 novembre 2005